domenica 27 settembre 2009

Libero (domenica 27/09/2009)

È stato presentato alla Camera in questi giorni il ddl per la costituzione del Consiglio Superiore della Lingua Italiana. Promotrice la Vicepresidente della Commissione Cultura della Camera, on. Paola Frassinetti del PDL, che ha legato il suo nome a numerose iniziative concernenti la nostra lingua, prima fra tutte la campagna scolastica sulle “tre i” (inglese, informatica, italiano), lanciata quando era assessore alla Cultura della Provincia di Milano.
Il ddl prevede l’istituzione di un organismo di tutela e salvaguardia della lingua nazionale, più volte auspicato e proposto, ma oggi resosi tanto più necessario in quanto l’italiano, stretto fra regionalismo e globalizzazione, non gode ottima salute ed anzi ha perduto terreno sia in campo nazionale che internazionale.
La Legge 15 dicembre 1999, n. 482, “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, infatti, ha incluso fra le lingue minoritarie presenti in Italia anche il friulano e il sardo, che non rappresentano evidentemente delle minoranze, ma delle comunità regionali o locali come tutti i dialetti italiani. È stata una forzatura legislativa di cui a distanza di tempo si sono viste tutte le conseguenze. L’ultima, e la più grave, è data dal contenzioso in atto tra il Friuli e lo Stato italiano, che nel febbraio 2008 ha impugnato la legge regionale sulla “lingua friulana”. ”. Le norme contestate - ha reso noto il ministero degli Affari regionali - «oltre ad apparire in contrasto con numerosi princípî costituzionali, esorbitano dall'oggetto della legge, la tutela della lingua friulana, e prefigurano un regime di sostanziale bilinguismo e, per taluni aspetti, di esclusività della lingua friulana».
A ciò si aggiunge che, a chiusura del 2008, la UE ha ribadito la volontà di escludere l’italiano dalle cosiddette lingue di lavoro. La comprensibile reazione di Berlusconi, che invitò i nostri rappresentanti al Parlamento europeo a disertare le riunioni se i documenti non fossero stati disponibili in italiano, fu stigmatizzata da alcuni giornali britannici, che naturalmente parlarono di nazionalismo, alimentando polemiche a non finire. Ma resta il fatto che tutti i documenti della UE verranno redatti solo in inglese, francese e tedesco: ciò che ribadisce ed amplifica l’egemonia esercitata in seno all’Europa da quelle nazioni.
La cosa è tanto più preoccupante in quanto l’Italia non è certo l’ultima arrivata in seno alla UE : è stata socio fondatore della Comunità Europea, come allora si chiamava, ed alfiere, con la Germania, dell’europeismo. Inoltre l‘importanza di una lingua non si misura soltanto dal “peso” politico della nazione che la parla, ma anche da ciò che rappresenta o ha rappresentato culturalmente. L’italiano è alla base della cultura moderna, nata con il Rinascimento, come è noto, e molto di ciò che oggi è europeo è stato italiano..
Ma non si può difendere l’italiano all’estero se non lo si difende prima nel nostro Paese. Oggi la nostra lingua si presenta come un insieme di usi piuttosto arbitrari, tendenti al ribasso culturale e la tolleranza per gli anglicismi non integrati, come check-up, imprinting, è aumentata, con seri pericoli per la tenuta delle strutture linguistiche.
Finora è mancata una “politica linguistica” degna di questo nome e ciò ha inciso non poco sulle condizioni, interne ed esterne, della nostra lingua. A colmare questa lacuna, additata sin dagli anni ’70 da due grandi linguisti italiani, Giacomo Devoto e Giovanni Nencioni, dovrà contribuire il costituendo CSLI, che come recita l’art. 2 del ddl , “sovrintende, nell’ambito degli orientamenti generali definiti dal Governo, alla tutela, alla valorizzazione e alla diffusione della lingua italiana in Italia e all’estero e collabora con le istituzioni pubbliche e private che hanno analoghe finalità”.
Il CSLI, si legge ancora, “a) promuove studi scientifici sulla lingua italiana con lo scopo di fornire agli insegnanti e agli operatori culturali gli strumenti necessari per la valorizzazione del patrimonio linguistico nazionale; b) promuove la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana; promuove l’uso corretto ed effettivo della lingua italiana e della sua pronunzia nelle scuole, nei mezzi di comunicazione, nel commercio, nella pubblicità, nel mondo del lavoro e della ricerca scientifica; c) promuove l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole e nelle università; promuove l’arricchimento della lingua allo scopo primario di mettere a disposizione dei parlanti termini idonei ad esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza dell’italiano nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; d) indica forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, da usare nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, formulando proposte operative per rendere più agevole e rapida la comunicazione con i cittadini anche attraverso gli strumenti informatici; e) promuove l’insegnamento della lingua italiana all’estero d’intesa con la Commissione di cui all’art. 4 della legge 401 del 1990; f) redige una relazione triennale sullo stato della lingua italiana.”
Sono compiti delicati, da svolgere d’intesa con comitati scientifici appositamente costituiti; ma imprescindibili, considerato lo stato di sostanziale abbandono a cui è stata condannata la nostra lingua anche in settori chiave come quello scolastico e universitario. L’ italiano ha urgente bisogno di un rilancio, nazionale e internazionale, che non può non coincidere con una maggiore “lealismo” delle classi dirigenti e dei cittadini tutti nei confronti di una lingua che ha rappresentato, e seguita a rappresentare, il cemento unitario del Paese. Ne era ben conscio Vincenzo Monti, quando scriveva: “La lingua è l’unico legame di unione che l’impeto dei secoli e della fortuna, né i nostri errori medesimi non hanno ancor potuto disciogliere: l’unico tratto di fisionomia che ci conservi l’aspetto d’una ancor viva e sana famiglia”.
Lucio D'Arcangelo

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