sabato 31 dicembre 2011

Paolo Corbera, siciliano, giornalista praticante presso "La Stampa" di Torino, siamo nel 1938

Paolo Corbera, siciliano, giornalista praticante presso "La Stampa" di Torino - siamo nel 1938 - è afflitto da una crisi di misantropia e per sfuggire alla propria solitudine diventa frequentatore abituale di un caffè di


L'uomo è piuttosto strambo e scontroso, ma Corbera finisce per conquistarne l'amicizia la confidenza.

Finalmente una sera il senatore lo invita a casa e gli svela il suo più intimo segreto: un'incredibile storia d'amore con una Sirena incontrata nei mari di Sicilia, quando, da giovane, si era ritirato con i suoi libri in una spiaggia deserta per prepararsi al concorso necessario per la cattedra. Così comincia, racconto nel racconto, «Lighea», il più celebre dei quattro racconti scritti da Tomasi di Lampedusa negli ultimi anni della sua vita ed uscito postumo da Feltrinelli nel 1961, tre anni dopo la morte del celebre scrittore. Considerato una specie di testamento spirituale dell'autore, Lighea ha conosciuto una fortuna fors'anche maggiore del Gattopardo. Ha avuto ben due versioni cinematografiche e l'anno scorso è apparsa in un audiolibro in cui è possibile ascoltare la voce stessa dell'autore. Quest'anno Luca Zingaretti ne ha portato una versione drammaturgica nei maggiori teatri italiani a cominciare dal Teatro Goldoni di Venezia, dove ha inaugurato la stagione teatrale. La fortuna di Lighea dipende dal tema "fantastico" del racconto che per l'autore del Gattopardo è del tutto inconsueto. La credibilità dell'evento straordinario, però, è affidata unicamente alla figura di La Ciura, austero senatore ed umanista, a cui non si può non concedere la massima fiducia: "Mai un istante ebbi il sospetto che mi raccontassero delle frottole e chiunque, il più scettico, fosse stato presente, avrebbe avvertito la verità più sicura nel tono del vecchio." Il senatore adduce a testimonianza della sua eccezionale esperienza un rametto di corallo regalatogli da Lighea. Ma non può mostrarlo, perchè gli è stato rubato da una domestica. Al lettore quindi non viene offerta la minima "prova" ed anzi si insinuano particolari che fanno pensare ad una spiegazione "naturale" dell'evento straordinario: "Il mio isolamento era assoluto, interrotto soltanto dalle visite del contadino che ogni tre o quattro giorni mi portava le poche provviste." "Si fermava solo cinque minuti perchè a vedermi tanto esaltato e scapigliato doveva certo ritenermi sull'orlo di una pericolosa pazzia." La sirena appare a La Ciura la mattina del cinque agosto e scompare con la fine dell'estate. Ma si tratta di un tempo senza tempo: "Quelle settimane di grande estate trascorsero rapide come un solo mattino; quando furono passate mi accorsi che in realtà avevo vissuto dei secoli". Il ricordo della creatura soprannaturale è incancellabile nella mente del senatore, che da quel momento in poi non potrà più amare nessun'altra donna "umana". Dopo aver raccontato a Corbera la sua storia, La Ciura si imbarca sul Rex, ma la notte cade in mare e non viene più ritrovato. La chiave di questo finale sta nelle parole d'addio di Lighea: "Io ti ho amato e, ricordalo, quando sarai stanco, quando non ne potrai proprio più, non avrai che da sporgerti sul mare e chiamarmi: io sarò sempre lì, perchè sono ovunque, e la tua sete di sonno sarà saziata." Indubbiamente i temi del racconto lampedusiano sono tipicamente "fantastici": un passato mitico che torna, letteralmente, a vivere, e l'amore ideale (totale) rappresentato dalla Sirena. Ma il racconto manca di quella atmosfera di incertezza tra sogno e realtà che rende verosimile la presenza del soprannaturale. Ne deriva una mitologia un po' facile e a volte perfino alla buona: "mi narrava della sua esistenza sotto il mare, dei tritoni barbuti, delle glauche spelonche". Sotto questo profilo Lighea è un racconto fantastico mancato e non è meraviglia per un narratore d'ispirazione realistica come Lampedusa. Tuttavia la sua interpetrazione quasi nietzschiana del mito non è priva di fascino. In Lighea la Sirena è portatrice di gioia, benché si tratti di una gioia violenta (dionisiaca) che incontra sul suo cammino l'ombra dell'Ade. Allo scrittore in viaggio lungo la costa meridionale della Sicilia era toccata una specie di grazia pagana. Peccato che essa si sia tradotta in una narrazione troppo "mitologica" per poter essere veramente avvincente. Una narrazione insomma che procede come una favola, in cui la sospensione della realtà è data per scontata, e questo spiega anche la facilità della resa cinematografica, che trova nel fantasy le sue possibilità più spettacolari.

Lucio D'Arcangelo