martedì 8 febbraio 2011

Carlo Emilio Gadda è stato certamente uno degli scrittori più geniali del nostro Novecento

La sua scrittura, opulenta e non di rado mistilingue, non si smentisce neppure nelle prose d'occasione, edite recentemente sotto il titolo Saggi giornali favole e altri scritti da Garzanti (2008), ed ora oggetto di studio nel libro di Giuliano Cenati, "Frammenti e meraviglie.

Gadda e i generi della prosa breve" (Unicopli, 2010), a cui va il merito di aver attirato l'attenzione su questo Gadda "minore". Il cuore delle prose gaddiane è indubbiamente costituito da "Le meraviglie d'Italia" , che rappresenta un convinto elogio della civiltà italiana, non esente, ovviamente, dalla constatazione di quel "pasticcio" in cui la stoltezza umana spesso trasforma la vita. Così, a proposito del "moderno modo di costruire" , che seminava, e seguita a seminare, obbrobri, Gadda, da buon ingegnere, scrive: "Buttando a mare come insopportabile zavorra tutta l'esperienza edile e l'arte (nel senso toscano di perizia: e di mestiere) del passato, abbiamo a volte creduto di poter disconoscere l'ordine del mondo e dei secoli e riprincipiar da capo, con rinnovate ragioni: che si palesarono essere, in definitiva, le ragioni dei quattordicenni, mentre il 77% delle ragioni e dei motivi fisici del mondo sono rimasti gli stessi". A quella che fu detta "l'Italia che cambia" Gadda oppone l'Italia di sempre, alla storia il "genius loci", che finisce sempre per prevalere. Il genio italiano gli si rivela dappertutto, tanto nella struttura di una città quanto nella perfetta formula del risotto milanese; tanto nel (poco noto) Duomo di Como, quanto nelle barocche composizioni di quei "mercati di frutta e verdura", che sollecitano la sua bravura descrittiva. Nella scatenata allegria del Barbiere di Siviglia" vede rispecchiarsi "secoli di vita provinciale italiana", e parlando del Petrarca a Milano oppone il poeta italiano, immerso nel plein air del suburbio, a Proust, chiuso nella sua camera foderata di sughero. "Italianissimo" poi gli appare il genio per eccellenza, Leonardo, "nella libertà serena onde guarda e considera, nello scaricarsi di dosso la soma e la puzza del gergo reverenziale, nel rifarsi alle sue parole sole, da sé germinate (…) quasi un bimbo nel tempio, che proferisca verità eterne, ignote ai dottori". L'Italia, naturalmente, è anche il suo paesaggio che nella prosa di Gadda forma un tutt'uno con l'architettura come nella luminosa, e favolosa, trasparenza di certi quadri del Seicento: "La scalea lenta discende al prato: fili d'erba ne hanno occupato le commessure: sfocia allo spiazzo erbato e solitario con le due balaustre ad esedra e gli alti modiglioni senza più rose: dove i grilli accompagneranno le modulazioni della sera, dove i cipressi, nel cielo color pervinca, tagliati dall'ultima luce saranno ceri e fiamme sul monte: dura, antica patria, anime che si sono ricusate di partire" L'Italia, questa Italia, è finita? Nel secolo che ha prodotto la tecnica e i mutamenti più radicali, le nubi, il cielo sono gli stessi che dipinse Claudio Lorenese. Rivoluzioni inevitabili si sono succedute ad altre "inutili" e "francamente balorde"; ma il virgiliano filo di fumo che si leva dietro i pioppi centenari testimonia una saggezza dura a morire.

Lucio D'Arcangelo


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